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Le pievi romaniche dell’Astigiano
GIOIELLI D’ARTE POPOLARE TUTTI DA SCOPRIRE
Un po’ Indiana Jones e un po’ Robert Langdon, lo studioso di simbologia protagonista del Codice Da Vinci: ci si sente così nello scoprire, tra le colline dell’Astigiano, quei piccoli capolavori d’arte e devozione popolare che sono le sue pievi romaniche.
Ora appaiono sul bricco di una collina. Ora si nascondono in un improvviso elevarsi della vegetazione, da cui spunta appena la forma di un campanile. Ora, colpite da un raggio di sole, appaiono come una visione: il tufo bianco e il mattone rosso delle mura, i portali decorati con simboli misteriosi, i prati verde brillante che crescono, inselvatichiti, fino ai gradini dell’ingresso.
Più di ogni altra cosa, le pievi romaniche dell’Astigiano colpiscono per la loro solitudine. Una sorta di sacro isolamento che le avvolge in un fascino senza tempo: perché furono edificate così lontano dai centri abitati, chi le frequentava?
L’Astigiano è costellato di chiese romaniche. Per la precisione, di pievi campestri, piccoli edifici religiosi costruiti nel mezzo della campagna. La loro fondazione è databile tra l’XI e il XIV secolo, epoche di grande espansione e sviluppo economico. Dopo la fine delle invasioni barbariche e sotto la spinta di una nuova crescita demografica, le persone ricominciarono a popolare i territori fuori dalle mura cittadine. I boschi venivano tagliati, le paludi prosciugate, le colline messe a frutto con coltivazioni di grano e vite. Ovunque sorgevano nuove comunità, chiamate Villanova o Villafranca, che ancora oggi sono assai presenti nella toponomastica del luogo.
La destinazione originaria di queste chiese si riflette nel loro nome. Pieve, dal latino plebs, termine con i quale si indicava la «plebe», intesa come popolino, ovvero gli abitanti poveri delle campagne. Le pievi nascevano nei pressi di villaggi appena fondati o lungo le strade che portavano ai campi. Erano destinate alla fede del popolo e, dunque, squisitamente popolari nell’aspetto. Venivano edificate con i materiali del luogo (il tufo, le arenarie, il cotto), e decorate da scultori e pittori di bassa estrazione, che utilizzavano una fitta simbologia medioevale. Dovevano apparire edifici umili e dimessi di fronte a capolavori del romanico come la cattedrale di Asti, il duomo di Chieri o le forme austere e perfette della basilica di Sant’Andrea a Vercelli. Ma erano luoghi di forte devozione, le cui campane richiamavano la gente da tutti i villaggi limitrofi.
La scomparsa dei villaggi in seguito alla peste del ‘300, le lunghe guerre del ‘600, infine la fuga dalle campagne tipica del XIX secolo segnarono, gradualmente, l’abbandono di queste pievi romaniche e, a lungo andare, la loro dimenticanza.
Eppure, oggi, a distanza di un millennio, l’aura di questi luoghi è ancora intatta. Viaggiare alla scoperta delle pievi romaniche dell’Astigiano regala sensazioni particolari: la sorpresa di raggiungere luoghi abbandonati, un tempo vitali; la meraviglia di trovare una ricchissima quantità di particolari artistici ancora intatti (capitelli e pilastri decorati, affreschi, statue e decorazioni d’ogni genere) consegnatici direttamente dalle mani delle popolazioni contadine del Medioevo; la bellezza intima e primordiale dei luoghi dove furono costruite, spesso sulla cima di colline circondate da una vegetazione lussureggiante, dove lo sguardo spazia sull’infinito inseguirsi dei filari.
Capitello istoriato nella pieve di San Lorenzo, a Montiglio
LE PIEVI ROMANICHE DA NON PERDERE
Se siete in procinto di far visita alle colline astigiane, non perdete l’occasione di mettervi alla ricerca delle sue pievi romaniche. Vi segnaliamo le nostre preferite. A Cortazzone, una tappa d’obbligo è per San Secondo, sulla collina di Mongiglietto: un gioiello romanico dalla tipica facciata a salienti, con uno sfavillante interno di decorazioni scultoree. Pochi chilometri più a nord, a Montechiaro d’Asti, sorge la chiesa di San Nazario e Celso: completamente isolata sulle pendici di una verde collina, San Nazario si distingue per l’alto e quadrato campanile a strisce alternate bianche (arenarie) e rosse (mattone), colori che decorano anche la facciata e il portale d’ingresso. Raggiungete infine Montiglio, nell’estremo occidentale della Provincia di Asti. Qui svetta la compatta pieve di San Lorenzo, che possiede alcuni dei più singolari capitelli zoomorfi del territorio, ovvero decorati con animali e figure mitologiche.
San Nazario e Celso a Montechiaro d'Asti
ABBINAMENTI DI VIAGGIO
Lungo il percorso alla scoperta delle pievi romane, vi consigliamo di degustare un vino autoctono, anch’esso dall’anima popolare, ma di squisita fattura. È il nostro Dolcetto d’Asti Doc, autentica espressione delle colline astigiane. Un vino che non mancava mai (e tutt’ora non manca) sulla tavola dei veri piemontesi, grazie alla sua facilità di abbinamento e alla sua piacevolezza. Il Dolcetto d’Asti Doc Duchessa Lia è fresco, profumato e intenso, con quel finale leggermente ammandorlato che non stanca mai e richiama un altro sorso.